"Se cerchi l'infinito lo troverai nel sorriso di un bambino; abbi cura di quel sorriso, è l'anima del mondo"


venerdì 25 gennaio 2013

Manuale medico per l'autismo

Questo piccolo manuale è
ammirevole nella capacità di
raccontare in maniera semplice,

efficace ma nello stesso tempo con
rigore scientifico, il bambino con
autismo. Sarà senz’altro di aiuto ai
genitori e ai pediatri per individuare i
comportamenti sentinella nella fase
del sospetto diagnostico iniziale, ma

anche per riconoscere e comprendere

più a fondo alcuni comportamenti problema
 



giovedì 3 gennaio 2013

La mia esperienza con l'autismo

Desidero condividere con voi, in anteprima, l'articolo che uscirà sul giornale dell'ospedale col quale collaboro.

Quando quasi 6 anni fa comunicai a mia mamma, insegnante di scuola elementare, che avevo deciso di iniziare a lavorare con i bimbi con autismo, sgranò gli occhi e mi disse un po’ preoccupata: “ma sei sicura?”. Questo è ancora a volte l’effetto che creo quando dico di cosa mi occupo…

E sì, perché nell’immaginario collettivo il bambino con autismo è guardato ancora con un po’ di paura e sospetto: ci si immagina un bambino che passa tutto il suo tempo a dondolare o a fare del male  a se stesso o agli altri.

In realtà nella mia esperienza lavorativa di bambini così ne ho incontrati davvero pochi… mi sono imbattuta maggiormente in bimbi come Samuele con interessi e passioni ristrette (lui a 4 anni sapeva leggere le cartine stradali e dare le indicazioni meglio di un navigatore) ma incapaci di rispondere a una semplice domanda come “Che gioco vuoi fare? Cosa ti piace?”

Sicuramente i bimbi con autismo, sono speciali, diversi ma non per questo, come  a volte ci si immagina, incapaci di provare sentimenti e affetti.

Ricordo ancora il commento di una mia collega fisioterapista quando vide Federico, bimbo con autismo di 4 anni non verbale, scendere dalle scale, dopo la pausa estiva, corrermi incontro, sorridermi  e abbracciarmi…. “ma questo bimbo non è di certo autistico!”.

Una frase che per me è stata illuminante per riuscire ad entrare in relazione con questi bimbi è stata quella di Therese Joliffe  che afferma “ Se persone normali si trovassero su un altro pianeta con creature aliene, probabilmente si sentirebbero spaventate, non saprebbero come fare per adattarvisi e avrebbero sicuramente difficoltà a capire cosa pensano, sentono e vogliono gli alieni ed a rispondere a tutto questo.”  Ecco, in questi anni di lavoro con i bimbi con autismo ho imparato a non dare nulla per scontato: a loro bisogna insegnare ad imparare, non avviene in automatico come con  tutti gli altri bimbi e poi, quando un concetto l’hanno appreso bisogna aiutarli a generalizzarlo.

Per riuscire a insegnar loro, ho imparato ad entrare in punta di piedi nel loro mondo, nelle loro strutture e rigidità.  In fondo, se ci pensiamo bene, siamo belli complicati.  Per esempio chiamiamo con una stessa etichetta linguistica cose ben diverse. Due esempi concreti? Chiamiamo MELA  quella rossa, gialla, verde, quella grande e quella piccola, quella a fette, quella sbucciata e quella grattuggiata.. tutte cose in realtà percettivamente diverse.  Quando diciamo a un bambino “BEVI” in realtà con la stessa parola gli chiediamo azioni diversissime: bere da un bicchiere (di vetro, di plastica, di carta..), a canna da una bottiglietta, con una cannuccia,  da una lattina, da una fontanella, bere acqua , succo, coca cola….

Certo per i terapisti, gli insegnanti  e i genitori tutto ciò può essere davvero faticoso ma come afferma O.I. Lovaas “Se un bambino non impara dal modo con cui stiamo insegnando, dobbiamo trovare un modo migliore per insegnare”.  Ricordo il papà di Sofia che mi raccontava che diceva sempre a sua figlia “Vai a sederti sul divano” e un giorno sfogliando con me un libretto con le immagini dei mobili della casa Sofia mi indicò il divano e tutta orgogliosa disse “SULDIVANO”.

Come non citare la volta che rimasi senza parole quando dissi a Matteo di dividere le carte per giocare a rubamazzetto e lui, con una precisione millimetrica, iniziò letteralmente a dividermi ogni singola carta a metà. Ecco questi aneddoti possono far sorridere ma ci aiutano un po’ a comprendere come per questi bimbi può essere davvero faticoso e a volte frustrante adattarsi al nostro mondo fatto di linguaggio metaforico, modi di dire, categorie…

Ecco l’obiettivo del mio lavoro: capire per ogni singolo bambino quale è il modo migliore di insegnargli i concetti base e le abilità quotidiane,  entrare nel suo “modo di funzionare” per fargli sperimentare e tollerare la flessibilità e l’imprevedibilità.  Tutto cìò va sempre in concomitanza con un lavoro di rete con la scuola e la famiglia; infatti non avrebbe senso avere un bimbo che “funziona” durante la terapia ma poi non generalizza le abilità apprese nel suo contesto quotidiano.

Dottoressa Myriam Frittoli