"Se cerchi l'infinito lo troverai nel sorriso di un bambino; abbi cura di quel sorriso, è l'anima del mondo"


venerdì 22 novembre 2013

ADHD : che fare?

Una volta che lo specialista ha fatto la diagnosi... che succede?
Seguirà sicuramente un trattamento svolto dallo psicologo nel quale il clinico propone delle attività mirate al potenziamento delle funzioni cognitive deficitarie (attenzione sostenuta, attenzione divisa, memoria di lavoro, controllo degli impulsi, monitoraggio, metacognizione) integrate ad un percorso di educazione socio-affettiva.
Fortemente consigliato anche il parent training: si insegna ai genitori a riconoscere l’importanza delle relazioni con i coetanei, ad insegnare, in modo naturale e quando ve ne è il bisogno, le abilità sociali e di crescita, ad acquisire un ruolo attivo nell’organizzazione della vita sociale del bambino, e a facilitare l’accordo fra adulti nell’ambiente in cui il bambino si trova a vivere (insegnanti e altri educatori).

Ma, nel quotidiano, quali sono le strategie educative più efficaci per affrontare i comportamenti più problematici dei bambini con ADHD?
  1. comprendere ed accettare il problema, al fine di affrontarne la gestione in modo efficace e funzionale;
  2. programmare un piano di intervento, identificando prioritariamente quali sono i comportamenti inadeguati più frequenti nel bambino e stabilire quelli su cui si vuole intervenire;
  3. usare il rinforzo positivo, come dare attenzione, sorridere, approvare (rinforzo sociale), oppure fare un regalo, dare una ricompensa (rinforzo concreto). Un rinforzo efficace deve essere immediato dopo l’emissione del comportamento positivo e deve essere dato, almeno nella fasi iniziali, ogni volta che viene messo in atto. In un secondo momento, quando il comportamento è diventato modalità tipica di risposta, la frequenza del rinforzo positivo va diminuita;
  4. usare la comunicazione assertiva, esprimendo in modo chiaro, specifico e fermo le proprie richieste, utilizzando un linguaggio semplice;
  5. usare il time out, collocando il bambino in un luogo neutro e insignificante non appena si verifica il comportamento indesiderato e farvelo rimanere fino a quando un segnale indica la fine del periodo di time out. Il tempo in cui il bambino passa in time out deve essere stabilito calcolando 1 minuto per ogni età del bambino per i comportamenti ritenuti di media gravità, 2 minuti per ogni anno di età del bambino per i comportamenti più gravi. Il time out è una tecnica disciplinare che si propone due obiettivi: interrompere quanto prima possibile il comportamento problema e aiutare il bambino a raggiungere una capacità di autodisciplina. Il time out può indebolire rapidamente molti comportamenti indesiderabili e i genitori che lo utilizzano diventano modelli razionali di autocontrollo;
  6. lasciare che il bambino faccia delle scelte, in quanto è proprio il bambino che decide se comportarsi o meno in un certo modo e impara che un determinato comportamento ha specifiche conseguenze e che deve assumersi la responsabilità delle proprie azioni e scelte;
  7. usare un programma a punti, utilizzando una scheda giornaliera dei punteggi e del menu delle ricompense e dei premi;
  8. l’impiego delle punizioni deve essere monitorato e adeguato all’età del bambino e al comportamento da punire. Un atteggiamento eccessivamente punitivo può causare rabbia, risentimento, ostilità e demoralizzazione nel bambino. La punizione dovrebbe essere applicata in maniera consapevole, per una specifica e motivata ragione, con un linguaggio assertivo e in modo coerente da entrambi i genitori.
 http://www.donnaclick.it/mamma/33995/

venerdì 8 novembre 2013

Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD)

Sempre più spesso vengo contattata da genitori che...
mi chiedono di verificare se il loro bambino ha la ADHD...
mi dicono che la maestra/il pediatra ha detto che è troppo iperattivo... che non è mai attento....

Ma è bene fare un po' di chiarezza su cos'è la ADHD.

Non dobbiamo infatti fare l’errore di scambiare un bambino vivace per un bambino con ADHD.

La differenza è sostanziale.

Il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD) è un disturbo di origine neuro-biologica che si esprime con uno stato persistente di agitazione psico-fisica, condizione psico-motoria che causa grave disagio al bambino stesso, oltre che ai suoi genitori. Tale disturbo è caratterizzato da un livello di attenzione scarso, inadeguato per lo sviluppo, o da aspetti di iperattività e impulsività inappropriati all’età, o da entrambi. Si tratta di bambini con alti livelli di attivazione, i quali non possono stare fermi, sono irrequieti e impulsivi, parlano incessantemente e spesso ad alta voce.
 La vivacità, invece, è un tratto emotivo-caratteriale, spesso caratterizzato da impulsività e irruenza, ma sostanzialmente gestibile.
Per fare la diagnosi è necessaria una valutazione diagnostica di uno psicologo o di un neuropsichiatra infantile, né le insegnanti né il pediatra ha gli strumenti per farlo.
Infatti, oltre a questionari per genitori e insegnanti, si somministrano test standardizzati e il bambino con ADHD cade, dimostrando prestazioni gravemente deficitarie nei compiti di attenzione, ad esempio.

Per porre diagnosi di ADHD il disturbo deve essere presente per almeno sei mesi e causare compromissione  in almeno due  ambiti  (casa e scuola, ad esempio).  Il disturbo, inoltre, deve manifestarsi prima dei 7 anni.

Il DSM-IV, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, elenca tre sottotipi di ADHD:
  1. tipo con disattenzione predominante;
  2. tipo con iperattività-impulsività predominanti;
  3. tipo combinato.
Così, un bambino può essere inquadrato in un disturbo caratterizzato da soli sintomi di disattenzione o da sintomi di iperattività e impulsività ma senza disattenzione (Rapoport J.L. e Ismond D.R.,2000).
Per un elenco completo dei criteri diagnostici potete visitare il sito dell'Aidai.

martedì 1 ottobre 2013

3,2,1.... STUDIAMO


Tuo figlio non riesce a fare i compiti da solo?

  Vorresti aiutarlo a trovare un metodo di studio?

La dottoressa Myriam Frittoli, psicoterapeuta cognitiva-comportamentale, Laura Capone, logopedista e applicatore Metodo Feuerstein, organizzano un training per insegnare agli studenti a “sfruttare” tutte le proprie capacità e per  sviluppare un metodo di studio efficace.
Utile anche per ragazzi con disturbi specifici di apprendimento.

E' previsto un Incontro  gratuito di presentazione. Si prega di confermare via email o per telefono la propria presenza in modo da organizzare al meglio l’incontro.

Inizio corso: ottobre 2013
Durata : 10 incontri  con gli studenti ( in gruppo, divisi a seconda dell’età 8-10 anni, 11-13 anni)
e 1 con i genitori
Dove: in via Ajraghi 10, Milano

Per informazioni e confermare la propria presenza:

Dottoressa Myriam Frittoli                                                           Laura Capone
333-5909066                                                                                  339-1424383
myriam.frittoli@fastwebnet.it                                                    lauracapone1@virgilio.it 

martedì 17 settembre 2013

Problemi di comportamento

I disturbi del comportamento sono un insieme eterogeneo di condotte socialmente disfunzionali, che si caratterizzano genericamente per una mancanza di controllo in diversi ambiti o livelli, e che possono essere raggruppate e classificate come "disturbi esternalizzanti del comportamento".
Si caratterizzano per essere un insieme di comportamenti etero-diretti, ossia modalità attraverso le quali il soggetto interagisce sul piano fenomenico con l'ambiente “esterno”, contrassegnati da difficoltà attentive, impulsività, iperattività, aggressività, distruttività, ed azioni di tipo antisociale e/o delinquenziale.
 
Alcuni bambini possono manifestare un atteggiamento persistente e costante di sfida, disobbedienza e ostilità nei confronti di genitori, insegnanti e altri adulti in generale.
Questi bambini perdono di continuo il controllo, litigano con gli adulti, si rifiutano di obbedire alle regole, accusano gli altri per i propri errori e sono spesso arrabbiati e rancorosi (Disturbo Oppositivo Provocatorio)
Alcuni ragazzi possono mostrare una modalità di comportamento ripetitiva e persistente in cui violano i diritti altrui o le norme o le regole appropriate per la loro età.
La loro condotta è più grave della normale malvagità e delle monellerie tipiche dei bambini e degli adolescenti. Le difficoltà a casa, a scuola e in società sono comuni, e spesso si manifesta una precoce attività sessuale. L'autostima di questi giovani è spesso molto scarsa, sebbene tendano a proiettare un'immagine di 'durezza' o di forza (Disturbo della Condotta).
Alcuni bambini e ragazzi possono incontrare molte difficoltà nel mantenere la propria attenzione orientata ad un compito, controllare l’impulso ad agire, regolare in generale il livello della propria attività (Disturbo da deficit di attenzione e Iperattività – ADHD).
Dottoressa Myriam Frittoli

domenica 15 settembre 2013

Sviluppo e benessere

È insolito trovare dei bambini che siano completamente liberi da qualsiasi paura e preoccupazione, che non siano mai stati tristi o irritabili, che si comportino sempre bene e che si concentrino altrettanto bene.
Lo sviluppo del bambino si configura come un'evoluzione attraverso un continuum costellato da momenti di passaggio - tappe di sviluppo - lungo un cammino contrassegnato dalla presenza di fattori di rischio e fattori protettivi, opportunità e vincoli, fino al raggiungimento della piena maturazione di competenze cognitive, emotive e relazionali, ossia delle risorse con le quali ciascuna persona affronta le sfide del vivere quotidiano.
Il concetto di salute mentale e benessere psicologico in età evolutiva è strettamente connesso alla capacità di rispondere alle sfide continue provenienti dalla mutevolezza delle perturbazioni ambientali.
Questa capacità di apertura e di adattamento si declina nella flessibilità di integrazione delle abilità individuali e delle strategie di coping in funzione delle nuove esperienze di vita, unite alla capacità di ordinare e circoscrivere tali cambiamenti in un range di percezioni, emozioni e pensieri che consentano il mantenimento di un senso coeso e unitario di sé.
Tuttavia, la maggior parte dei bambini può presentare qualche sintomo, aspetti problematici, è quindi importante capire se i comportamenti che possono destare preoccupazioni rientrano nelle normali difficoltà connesse con le sfide evolutive o se definiscono aree di difficoltà realmente problematiche, già in sè sintomatiche o prodromi di future condizioni patologiche.
In questo senso la migliore guida è domandarsi se i sintomi abbiano o meno un serio impatto sul funzionamento del bambino:
- se “destabilizzano” effettivamente il bambino
- se interferiscono seriamente con la sua vita quotidiana a casa, a scuola, nel tempo libero
- se costituiscono un reale fastidio per gli altri
- se quanto osserviamo in "quel" bambino è significativamente discosto dalla media dei comportamenti dei bambini di uguale età di sviluppo, cultura e appartenenza sociale.
In caso di risposta positiva agli interrogativi è utile contattare uno specialista.
Dottoressa Myriam Frittoli

"Mio figlio sbatte le palpebre.."


" Buongiorno Dottoressa,
Mi chiamo Maria ho 29 anni e sono mamma di due splendidi bambini, Riccardo di tre anni e mezzo e Salvatore di 5,la seguo da tempo e la ringrazio per l’informazione e i consigli che ci dona.. Ho sempre voglia di imparare e di correggermi perche’ spero di riuscire a dare una buona mamma ai miei bimbi visto che se la meritano tutta.. Volevo chiederle: siccome Salvatore e’ da un mesetto che ha il vizio di sbattere le palpebre, cosa potrebbe rappresentare questo disturbo? Vorrei aiutarlo.. Lui e’ molto dolce, sensibile e ansioso..Percio’ ho pensato ad uno sfogo interiore di qualcosa... Fino a poco tempo fa abbiamo avuto un approccio molto sbagliato con il cibo i miei errori e le mie ansie (che da un mesetto non commetto piu’ visto che mi sono informata e ho cambiato totalmente metodo) potrebbero aver causato questo tic? E se si avendo cambiato metodo(meglio tardi che mai) potrebbe passargli da solo col tempo?
Io in ogni caso la ringrazio! Un abbraccio!! Maria.."

Salve, sono contenta di poter mettere le mie conoscenze ed esperienza a servizio di tutti. Sono certa che riuscirà ad essere una mamma "sufficientemente buona" per i suoi bimbi visto la sua capacità di interrogarsi e mettersi in gioco.

Veniamo al quesito.
 
E' molto comune che bambini in età prescolare e scolare, di temperamento sensibile e un pò ansioso, manifestino con dei piccoli tic (sbattere le palpebre per esempio) uno stato di tensione. Potrebbero emergere anche altri tic, il bambino esprime il suo disagio attraverso il corpo.
Spesso sono stadi passeggeri che passano da soli, l'importante è non focalizzare la vostra attenzione o chiedere al bambino di smettere (è un movimento involontario).
Non è detto che questo tic sia emerso a causa delle "pressioni alimentari" (non meglio specificate nella sua lettera) o se comunque sarebbe emerso ugualmente.
Per questo, mi raccomando, eviti i sensi di colpa che non servono a nulla.
Per caso è imminente l'ingresso alla scuola primaria?
I tic devono essere considerati un problema serio quando nel bambino si notano nuclei di pensieri o sentimenti di tipo ossessivo anche al di fuori dei tic. In questo caso il ricorso allo specialista e’ d’obbligo.
Se non lo ha letto le consiglio l'articolo sui tic 



Rimango a disposizione per qualsiasi chiarimento
Saluti
Dottoressa Frittoli

giovedì 12 settembre 2013

Buon inizio scuola a tutti !!!


In una classe, l'insegnante si aspetta di essere ascoltato.
Lo studente pure.
(Ernest Abbé)

 

"fare la pace con le nostre crepe"


" Sono una mamma di due bambini, uno di 8 e di 12 anni. Mi piace leggere molto, informarmi e mi rendo conto che con loro ho commesso molti sbagli, molti errori. Vorrei non averli fatti, vorrei cancellare tutto il passato e ricominciare da capo ma so che non è possibile..." Lucia

Innanzitutto vorrei rassicurarla con fatto che siamo tutti "genitori imperfetti".
Mi permetto, inoltre, di agganciarmi alla sua lettera per fare delle considerazioni che possono tornare utili a tutti.

Quando i giapponesi riparano un oggetto rotto, valorizzano la crepa riempiendo la spaccatura con dell’oro.
Essi credono che quando qualcosa ha subito una ferita ed ha una storia, diventa più bello.
Questa tecnica è chiamata "Kintsugi."
Oro al posto della colla.
Metallo pregiato invece di una sostanza adesiva trasparente....
E la differenza è tutta qui: occultare l'integrità perduta o esaltare la storia della ricomposizione?
Chi vive in Occidente fa fatica a fare pace con le crepe.
"Spaccatura, frattura, ferita" sono percepiti come l'effetto meccanicistico di una colpa, perchè il pensiero digitale ci ha addestrati a percorrere sempre e solo una delle biforcazioni: o è intatto, o è rotto.
Se è rotto, è colpa di qualcuno.
Il pensiero analogico -arcaico, mitico, simbolico- invece, rifiuta le dicotomie e ci riporta alla compresenza degli opposti, che smettono di essere tali nel continuo osmotico fluire della vita.
La Vita è integrità e rottura insieme, perché è ri-composizione costante ed eterna.
Rendere belle e preziose le "persone" che hanno sofferto......questa tecnica si chiama "amore".
Il dolore è parte della vita.
A volte è una parte grande, e a volte no, ma in entrambi i casi, è una parte del grande puzzle, della musica profonda, del grande gioco.
Il dolore fa due cose: Ti insegna, ti dice che sei vivo.
Poi passa e ti lascia cambiato.
E ti lascia più saggio, a volte.
In alcuni casi ti lascia più forte.
In entrambe le circostanze, il dolore lascia il segno, e tutto ciò che di importante potrà mai accadere nella tua vita lo comporterà in un modo o nell’altro
I giapponesi che hanno inventato il Kintsugi l'hanno capito più di sei secoli fa - e ce lo ricordano sottolineandolo in oro.
 
Dottoressa Myriam Frittoli

 

venerdì 31 maggio 2013

Come insegnare a dormire ad un adulto (dal punto di vista di un neonato)

L'ho trovata in rete.... ma mi è sembrata carina...
sia perché mi sono ritrovata nella mia esperienza quotidiana
sia perché ironizza sui pacchetti educativi "preconfezionati".




“Ok, questa è la mia situazione. Sono nato da 7 mesi. I primi mesi erano grandiosi – piangevo, la Mamma mi prendeva in braccio e mi allattava a qualunque ora del giorno e della notte. Poi qualcosa è cambiato.
Nelle ultime settimane la Mamma sta cercando di DTLN (Dormire Tutta La Notte). All’inizio pensavo che fosse una fase, ma niente da fare, sta andando sempre peggio. Ho parlato con altri bimbi e sembra che sia un atteggiamento abbastanza comune tra le Mamme dopo 6 mesi dalla nostra nascita.
Il fatto è questo: le Mamme non hanno veramente bisogno di dormire. E’ solo un’abitudine. Molte di loro hanno dormito per almeno 30 anni, non ne hanno più bisogno. Così ho elaborato un piano e l’ho chiamato il metodo del Pianto.
Funziona così:
Prima notte: piangere ogni 3 ore fino a che non vi avrà allattato. Lo so. E’ difficile. E’ difficile vedere le vostre Mamme sconvolte dal vostro pianto. Ricordatevi però che lo fate per il suo bene.
Seconda notte: piangere ogni 2 ore fino a che non vi avrà allattato.
Terza notte: piangere ogni ora
La maggior parte delle Mamme iniziano a rispondere a questo metodo più velocemente dopo la terza notte. Alcune Mamme sono più toste, e potrebbero resistere di più al cambiamento. Queste Mamme staranno sulla soglia della vostra camera per ore, facendo shh-shh-shh. Non dategliela vinta. Non mi stancherò mai di ripetere questo fondamentale concetto: la COERENZA è la chiave di tutto! Se lascerete che la vostra Mamma DTLN (Dorma Tutta La Notte), anche solo una volta, si aspetterà di poterlo fare tutte le notti. LO SO, E’ DAVVERO DIFFICILE! Ma lei sul serio non ha bisogno di dormire, sta solo facendo resistenza al cambiamento. Se avete una Mamma davvero davvero tosta, potete smettere di piangere per circa 10 minuti, quel tanto che basta perchè lei torni a letto e si addormenti. Poi piangete ancora. Questo FUNZIONERA’ sicuramente. La mia Mamma una volta stette sveglia per 10 ore filate, quindi sappiate che ce la possono fare.
Ieri notte, per esempio, ho pianto ogni ora. Dovete solo decidervi ed essere fedeli al vostro programma. SIATE COERENTI! Mi è capitato di piangere per qualsiasi ragione. Il mio sacco nanna mi solleticava i piedi. Ho sentito una piega sotto il lenzuolo. Ho visto un’ombra sul muro. Ho fatto un ruttino, e sapeva di pera. E non ho mangiato la pera da oggi a pranzo, come la mettiamo? Il gatto ha fatto “miao”. Dovrei saperlo, la Mamma me lo ripete 20 volte al giorno che fa “miao”. Una volta ho pianto perchè mi piaceva l’effetto del suono della mia voce che faceva l’eco sul baby monitor nell’altra stanza. Troppo caldo, troppo freddo, non importa! Continuate a piangere!!
Magari ci vorrà un pò di tempo, ma funziona. La Mamma alla fine mi ha allattato alle 4 del mattino. Domani notte io mio goal sono le 3 e mezza. Bisogna pian pian diminuire gli intervalli tra le poppate in modo da resettare l’orologio interno della vostra Mamma
Qualche volta la mia Mamma chiama i rinforzi e manda il Papà. Non vi preoccupate, i Papà non sono fatti per non dormire come lo sono le Mamme. Potranno al massimo darvi qualche pacca rassicurante e qualche shh-shh-shh prima di dichiararsi sconfitti e rimandare la Mamma.
Inoltre, state attenti alle musichette rilassanti con il rumore della pioggia. Mi piace dare alla Mamma false speranze ascoltando il rumore della pioggia mentre mi mette a letto e facendo finta di chiudere gli occhi ed addormentarmi; aspetto finchè la Mamma non torna a dormire e poi le dò il colpo di grazie con un pianto a sorpresa. Se non mi prende tra le braccia abbastanza velocemente continuo con tutto il repertorio: tosse finta, suoni gutturali e altre cose così che la fanno correre alla culla. Sono sicuro che a un certo punto inizierà a realizzare che davvero non ha davvero bisogno di dormire.
P.S. Non fatevi prendere in giro con quei cosi di gomma, non importa quanto li succhiate, non verrà mai fuori il latte. Fidatevi.”
 

domenica 7 aprile 2013

Enuresi Notturna

Nonostante l’enurési sia un problema molto diffuso (ne soffre il 15% dei bambini di più di 5 anni) e comporti problemi finanziari, psichici ed emotivi nei soggetti e nelle famiglie coinvolte, viene troppo spesso sottovalutato da clinici e pediatri che affrontano il ritardo nell’acquisizione del controllo notturno come un risultato che prima o poi avverrà.
Se ciò è pur vero, il processo può tuttavia impiegare diversi anni e portare con sé un grosso carico di imbarazzo e altri disordini dovuti dall’enorme mole di stress accumulato, che altro non fanno che acuire ancora di più la problematica in essere.
Ma cos’è, in effetti, l’enuresi?
E’ un’urinazione involontaria o volontaria ripetuta nel tempo, con episodi ricorrenti almeno per due volte a settimana e per almeno tre mesi consecutivi. Per poter essere diagnosticata, il bambino deve avere almeno 5 anni ed aver raggiunto un grado di sviluppo in tutte le altre aree pari alla sua età.
Vi sono diversi tipi di enuresi: enuresi notturna, nella quale il problema si presenta solo di notte; enuresi diurna, solo il giorno; enuresi mista, sia il giorno che la notte. E’ primaria quando il bambino non ha mai smesso di bagnare il letto, secondaria quanto, invece, per un periodo superiore ai 6 mesi questo problema era scomparso e poi è riapparso.
Quali sono le cause dell’enuresi?
Per lo più genetiche: i bambini i cui genitori hanno entrambi precedenti di enuresi hanno il 77% di probabilità di sviluppare questo problema contro il 43% dei bambini con un solo genitore che ha sviluppato questo problema (ed appena il 15% di quelli in cui in nessuno dei genitori si è presentato).
Altre cause possono essere la scarsa capacità di svegliarsi dal sonno, una ridotta capacità della vescica, un ritardo dello sviluppo, una ridotta secrezione notturna di ADH o ormone antidiuretico e, ovviamente, fattori psicologici derivanti dallo stress.
Come si interviene?
Uno dei sistemi migliori di intervento è quello incentrato sui sistemi di allarme sonoro (come luminoso e a vibrazione) che avvertono il bambino quando sta bagnando il letto e gli consentono di alzarsi e recarsi in bagno. Ma non è un sistema che può essere sempre utilizzato.
Una terapia supportiva unita ad esercizi per implementare la percezione e l’attitudine alla pulizia sono forme d’intervento incentrate non solo sul problema specifico, ma migliorative di uno stato di benessere e di salute generale.
Da tenere a mente.
Nonostante la diffusione del problema, solo un numero minimo di pediatri e clinici in generale offre un efficace e reale trattamento per l’enuresi. Uno dei motivi principali è dovuto al fatto che vengono prese in esame soprattutto disfunzioni fisiche e sottolineato il ruolo dei fattori medici, senza mettere in risalto la componente emotiva e psicologica che può essere causa del disturbo e che, irrimediabilmente, accompagnano il disturbo stesso.
Una volta accertata l’assenza di condizioni mediche generali, molti pediatri semplicemente si astengono dall’operare qualsiasi trattamento, sostenendo che comunque il problema si risolverà da solo, sottostimando decisamente i risvolti negativi che un intervento del genere può avere sul bambino e sulla famiglia.
Qualsiasi genere di trattamento non può prescindere dall’aiutare e sostenere il bambino (ed la famiglia) in un momento carico di contenuti emotivi difficili da affrontare, soprattutto se risultano sottostimati e non compresi.

Si ringrazia Salvatore Torsi per l'articolo sopra riportato (http://www.studiotorsi.it/affrontare-l-enuresi-notturna/)

Giornata sull'autismo

Articolo semplice, chiaro e incisivo sull’Autismo
http://www.policlinicocampusbiomedico.it/news/511-una-giornata-per-sensibilizzare.html

Certificazione DSA


Sono uscite le indicazioni su come diventare professionisti per la certificazione dei DSA (io sarò tra quelli che hanno le caratteristiche per richiederla)
Anche i genitori saranno maggiormente tutelati

http://www.sanita.regione.lombardia.it/cs/Satellite?c=News&childpagename=DG_Sanita%2FDetail&cid=1213593881854&p=1213277054618&packedargs=locale%3D1194453881584&pagename=DG_SANWrapper

venerdì 25 gennaio 2013

Manuale medico per l'autismo

Questo piccolo manuale è
ammirevole nella capacità di
raccontare in maniera semplice,

efficace ma nello stesso tempo con
rigore scientifico, il bambino con
autismo. Sarà senz’altro di aiuto ai
genitori e ai pediatri per individuare i
comportamenti sentinella nella fase
del sospetto diagnostico iniziale, ma

anche per riconoscere e comprendere

più a fondo alcuni comportamenti problema
 



giovedì 3 gennaio 2013

La mia esperienza con l'autismo

Desidero condividere con voi, in anteprima, l'articolo che uscirà sul giornale dell'ospedale col quale collaboro.

Quando quasi 6 anni fa comunicai a mia mamma, insegnante di scuola elementare, che avevo deciso di iniziare a lavorare con i bimbi con autismo, sgranò gli occhi e mi disse un po’ preoccupata: “ma sei sicura?”. Questo è ancora a volte l’effetto che creo quando dico di cosa mi occupo…

E sì, perché nell’immaginario collettivo il bambino con autismo è guardato ancora con un po’ di paura e sospetto: ci si immagina un bambino che passa tutto il suo tempo a dondolare o a fare del male  a se stesso o agli altri.

In realtà nella mia esperienza lavorativa di bambini così ne ho incontrati davvero pochi… mi sono imbattuta maggiormente in bimbi come Samuele con interessi e passioni ristrette (lui a 4 anni sapeva leggere le cartine stradali e dare le indicazioni meglio di un navigatore) ma incapaci di rispondere a una semplice domanda come “Che gioco vuoi fare? Cosa ti piace?”

Sicuramente i bimbi con autismo, sono speciali, diversi ma non per questo, come  a volte ci si immagina, incapaci di provare sentimenti e affetti.

Ricordo ancora il commento di una mia collega fisioterapista quando vide Federico, bimbo con autismo di 4 anni non verbale, scendere dalle scale, dopo la pausa estiva, corrermi incontro, sorridermi  e abbracciarmi…. “ma questo bimbo non è di certo autistico!”.

Una frase che per me è stata illuminante per riuscire ad entrare in relazione con questi bimbi è stata quella di Therese Joliffe  che afferma “ Se persone normali si trovassero su un altro pianeta con creature aliene, probabilmente si sentirebbero spaventate, non saprebbero come fare per adattarvisi e avrebbero sicuramente difficoltà a capire cosa pensano, sentono e vogliono gli alieni ed a rispondere a tutto questo.”  Ecco, in questi anni di lavoro con i bimbi con autismo ho imparato a non dare nulla per scontato: a loro bisogna insegnare ad imparare, non avviene in automatico come con  tutti gli altri bimbi e poi, quando un concetto l’hanno appreso bisogna aiutarli a generalizzarlo.

Per riuscire a insegnar loro, ho imparato ad entrare in punta di piedi nel loro mondo, nelle loro strutture e rigidità.  In fondo, se ci pensiamo bene, siamo belli complicati.  Per esempio chiamiamo con una stessa etichetta linguistica cose ben diverse. Due esempi concreti? Chiamiamo MELA  quella rossa, gialla, verde, quella grande e quella piccola, quella a fette, quella sbucciata e quella grattuggiata.. tutte cose in realtà percettivamente diverse.  Quando diciamo a un bambino “BEVI” in realtà con la stessa parola gli chiediamo azioni diversissime: bere da un bicchiere (di vetro, di plastica, di carta..), a canna da una bottiglietta, con una cannuccia,  da una lattina, da una fontanella, bere acqua , succo, coca cola….

Certo per i terapisti, gli insegnanti  e i genitori tutto ciò può essere davvero faticoso ma come afferma O.I. Lovaas “Se un bambino non impara dal modo con cui stiamo insegnando, dobbiamo trovare un modo migliore per insegnare”.  Ricordo il papà di Sofia che mi raccontava che diceva sempre a sua figlia “Vai a sederti sul divano” e un giorno sfogliando con me un libretto con le immagini dei mobili della casa Sofia mi indicò il divano e tutta orgogliosa disse “SULDIVANO”.

Come non citare la volta che rimasi senza parole quando dissi a Matteo di dividere le carte per giocare a rubamazzetto e lui, con una precisione millimetrica, iniziò letteralmente a dividermi ogni singola carta a metà. Ecco questi aneddoti possono far sorridere ma ci aiutano un po’ a comprendere come per questi bimbi può essere davvero faticoso e a volte frustrante adattarsi al nostro mondo fatto di linguaggio metaforico, modi di dire, categorie…

Ecco l’obiettivo del mio lavoro: capire per ogni singolo bambino quale è il modo migliore di insegnargli i concetti base e le abilità quotidiane,  entrare nel suo “modo di funzionare” per fargli sperimentare e tollerare la flessibilità e l’imprevedibilità.  Tutto cìò va sempre in concomitanza con un lavoro di rete con la scuola e la famiglia; infatti non avrebbe senso avere un bimbo che “funziona” durante la terapia ma poi non generalizza le abilità apprese nel suo contesto quotidiano.

Dottoressa Myriam Frittoli