"Se cerchi l'infinito lo troverai nel sorriso di un bambino; abbi cura di quel sorriso, è l'anima del mondo"


venerdì 22 novembre 2013

ADHD : che fare?

Una volta che lo specialista ha fatto la diagnosi... che succede?
Seguirà sicuramente un trattamento svolto dallo psicologo nel quale il clinico propone delle attività mirate al potenziamento delle funzioni cognitive deficitarie (attenzione sostenuta, attenzione divisa, memoria di lavoro, controllo degli impulsi, monitoraggio, metacognizione) integrate ad un percorso di educazione socio-affettiva.
Fortemente consigliato anche il parent training: si insegna ai genitori a riconoscere l’importanza delle relazioni con i coetanei, ad insegnare, in modo naturale e quando ve ne è il bisogno, le abilità sociali e di crescita, ad acquisire un ruolo attivo nell’organizzazione della vita sociale del bambino, e a facilitare l’accordo fra adulti nell’ambiente in cui il bambino si trova a vivere (insegnanti e altri educatori).

Ma, nel quotidiano, quali sono le strategie educative più efficaci per affrontare i comportamenti più problematici dei bambini con ADHD?
  1. comprendere ed accettare il problema, al fine di affrontarne la gestione in modo efficace e funzionale;
  2. programmare un piano di intervento, identificando prioritariamente quali sono i comportamenti inadeguati più frequenti nel bambino e stabilire quelli su cui si vuole intervenire;
  3. usare il rinforzo positivo, come dare attenzione, sorridere, approvare (rinforzo sociale), oppure fare un regalo, dare una ricompensa (rinforzo concreto). Un rinforzo efficace deve essere immediato dopo l’emissione del comportamento positivo e deve essere dato, almeno nella fasi iniziali, ogni volta che viene messo in atto. In un secondo momento, quando il comportamento è diventato modalità tipica di risposta, la frequenza del rinforzo positivo va diminuita;
  4. usare la comunicazione assertiva, esprimendo in modo chiaro, specifico e fermo le proprie richieste, utilizzando un linguaggio semplice;
  5. usare il time out, collocando il bambino in un luogo neutro e insignificante non appena si verifica il comportamento indesiderato e farvelo rimanere fino a quando un segnale indica la fine del periodo di time out. Il tempo in cui il bambino passa in time out deve essere stabilito calcolando 1 minuto per ogni età del bambino per i comportamenti ritenuti di media gravità, 2 minuti per ogni anno di età del bambino per i comportamenti più gravi. Il time out è una tecnica disciplinare che si propone due obiettivi: interrompere quanto prima possibile il comportamento problema e aiutare il bambino a raggiungere una capacità di autodisciplina. Il time out può indebolire rapidamente molti comportamenti indesiderabili e i genitori che lo utilizzano diventano modelli razionali di autocontrollo;
  6. lasciare che il bambino faccia delle scelte, in quanto è proprio il bambino che decide se comportarsi o meno in un certo modo e impara che un determinato comportamento ha specifiche conseguenze e che deve assumersi la responsabilità delle proprie azioni e scelte;
  7. usare un programma a punti, utilizzando una scheda giornaliera dei punteggi e del menu delle ricompense e dei premi;
  8. l’impiego delle punizioni deve essere monitorato e adeguato all’età del bambino e al comportamento da punire. Un atteggiamento eccessivamente punitivo può causare rabbia, risentimento, ostilità e demoralizzazione nel bambino. La punizione dovrebbe essere applicata in maniera consapevole, per una specifica e motivata ragione, con un linguaggio assertivo e in modo coerente da entrambi i genitori.
 http://www.donnaclick.it/mamma/33995/

venerdì 8 novembre 2013

Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD)

Sempre più spesso vengo contattata da genitori che...
mi chiedono di verificare se il loro bambino ha la ADHD...
mi dicono che la maestra/il pediatra ha detto che è troppo iperattivo... che non è mai attento....

Ma è bene fare un po' di chiarezza su cos'è la ADHD.

Non dobbiamo infatti fare l’errore di scambiare un bambino vivace per un bambino con ADHD.

La differenza è sostanziale.

Il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD) è un disturbo di origine neuro-biologica che si esprime con uno stato persistente di agitazione psico-fisica, condizione psico-motoria che causa grave disagio al bambino stesso, oltre che ai suoi genitori. Tale disturbo è caratterizzato da un livello di attenzione scarso, inadeguato per lo sviluppo, o da aspetti di iperattività e impulsività inappropriati all’età, o da entrambi. Si tratta di bambini con alti livelli di attivazione, i quali non possono stare fermi, sono irrequieti e impulsivi, parlano incessantemente e spesso ad alta voce.
 La vivacità, invece, è un tratto emotivo-caratteriale, spesso caratterizzato da impulsività e irruenza, ma sostanzialmente gestibile.
Per fare la diagnosi è necessaria una valutazione diagnostica di uno psicologo o di un neuropsichiatra infantile, né le insegnanti né il pediatra ha gli strumenti per farlo.
Infatti, oltre a questionari per genitori e insegnanti, si somministrano test standardizzati e il bambino con ADHD cade, dimostrando prestazioni gravemente deficitarie nei compiti di attenzione, ad esempio.

Per porre diagnosi di ADHD il disturbo deve essere presente per almeno sei mesi e causare compromissione  in almeno due  ambiti  (casa e scuola, ad esempio).  Il disturbo, inoltre, deve manifestarsi prima dei 7 anni.

Il DSM-IV, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, elenca tre sottotipi di ADHD:
  1. tipo con disattenzione predominante;
  2. tipo con iperattività-impulsività predominanti;
  3. tipo combinato.
Così, un bambino può essere inquadrato in un disturbo caratterizzato da soli sintomi di disattenzione o da sintomi di iperattività e impulsività ma senza disattenzione (Rapoport J.L. e Ismond D.R.,2000).
Per un elenco completo dei criteri diagnostici potete visitare il sito dell'Aidai.